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Il Riconoscimento dello Stato di Palestina: Obbligo Giuridico e Non Opzione Politica

Il Riconoscimento dello Stato di Palestina: Obbligo Giuridico e Non Opzione Politica

La questione del riconoscimento internazionale dello Stato di Palestina solleva questioni fondamentali di diritto internazionale, sovranità statale e diritti umani. L'approccio di alcuni Stati nel subordinare il riconoscimento della Palestina a considerazioni politiche configura una violazione del diritto internazionale. Questo articolo dimostra, con profondità giuridica e supporto dottrinale e logica basilare, che uno Stato può esistere indipendentemente dal riconoscimento esterno e che negarne l'esistenza, in presenza dei criteri oggettivi, costituisce una lesione dell'ordine giuridico internazionale e una potenziale forma di crimine internazionale.

Quadro Normativo: la Convenzione di Montevideo Secondo l'art. 1 della Convenzione di Montevideo del 1933, i criteri per la statualità sono:

  1. Popolazione permanente;

  2. Territorio definito;

  3. Governo;

  4. Capacità di entrare in relazioni con altri Stati.

L'art. 3 della stessa convenzione stabilisce chiaramente: "L'esistenza politica dello Stato è indipendente dal suo riconoscimento da parte degli altri Stati". La cosiddetta teoria dichiarativa, oggi dominante, riconosce che il riconoscimento ha solo effetto dichiarativo, non costitutivo. Secondo James Crawford ("The Creation of States in International Law", Oxford, 2006), "il riconoscimento non è una condizione necessaria per l’esistenza legale di uno Stato".

La Palestina soddisfa tutti i criteri elencati:

  • Popolazione permanente: circa 5 milioni tra Gaza e Cisgiordania;

  • Territorio definito: benché occupato parzialmente, esiste un territorio storicamente identificabile;

  • Governo: l'Autorità Palestinese esercita funzioni legislative, giudiziarie e amministrative;

  • Relazioni internazionali: Palestina è membro di diverse organizzazioni internazionali e ha ottenuto lo status di Stato osservatore all'ONU.

Secondo Malcolm Shaw ("International Law", Cambridge, 2021), "il criterio centrale per l’esistenza statale resta la capacità funzionale, e la Palestina dimostra tale capacità".

Negare il riconoscimento a uno Stato che soddisfa questi criteri significa:

  • Violare il principio di autodeterminazione dei popoli, garantito dall'art. 1 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici;

  • Negare il diritto all'esistenza politica di una comunità;

  • Rafforzare strutture di potere asimmetriche che favoriscono l'egemonia degli Stati già riconosciuti.

Questo atteggiamento configura un atto discriminatorio e selettivo, contrario all'eguaglianza sovrana degli Stati, principio cardine della Carta delle Nazioni Unite. Antonio Cassese ha evidenziato come "il diritto all’autodeterminazione ha ormai assunto il rango di norma imperativa di diritto internazionale generale (jus cogens)".

Il Riconoscimento come Strumento di Dominio, Quando il riconoscimento diventa condizione per la legittimità internazionale, si passa da un ordine giuridico a uno politico, basato sull'arbitrio. Ciò trasforma il diritto in uno strumento di dominazione, dove Stati potenti possono negare esistenza legale a popoli oppressi.

La negazione sistematica del riconoscimento può essere interpretata come una forma di neo-colonialismo giuridico, dove il potere si esercita non più attraverso la conquista territoriale, ma attraverso l’esclusione giuridica. Questo costituisce una violazione sistemica dei diritti umani universali, e può essere qualificato come pratica discriminatoria istituzionalizzata ai sensi della Convenzione Internazionale sull'Eliminazione di Ogni Forma di Discriminazione Razziale.

Alla luce di quanto sopra, gli Stati hanno un obbligo giuridico positivo di riconoscere entità che rispondono ai criteri di Montevideo. Questo non è un atto discrezionale ma un dovere derivante:

  • dal principio di buona fede nei rapporti internazionali;

  • dall'obbligo di non rendere vano il diritto all'autodeterminazione;

  • dal divieto di discriminazione su base politica, nazionale o etnica.

La Corte Internazionale di Giustizia, nel parere consultivo sulla Namibia (1971), ha stabilito che gli Stati non devono riconoscere situazioni derivanti da violazioni gravi del diritto internazionale.

Il PMT (in Movimento Transnazionale) caso comparato, come anche altri movimenti transnazionali che soddisfano i criteri base della statualità, devono essere considerati soggetti di diritto internazionale. Negarne il riconoscimento in base a motivi ideologici, politici, razziali, costituisce una violazione dell'eguaglianza giuridica tra i popoli.

Principio di Esistenza e Verità Oggettiva È principio basilare, di logica pratica ed etica universale, che ciò che esiste non ha bisogno di essere "autorizzato" per essere reale. Un uomo, una donna, un popolo esistono per il solo fatto di esistere. Negare la loro esistenza, fingere che non vi siano, equivale a commettere una frode intellettuale, a mentire e manipolare la verità per fini politici, ideologici o coloniali.

Tale negazione non è un atto neutro: essa produce conflitto, obbliga i popoli a difendersi da chi pretende di cancellarne l’identità e la soggettività. L’atto di ignorare un popolo, di rifiutarsi di riconoscerlo, è la premessa logica e giuridica della guerra, della schiavitù e dell’odio sistemico. La verità dell’esistenza non può essere subordinata a una volontà esterna, predatoria o geopoliticamente interessata. Ignorare questa realtà significa perpetuare l’ingiustizia, distruggere l’equilibrio tra i popoli, negare la dignità umana e il bisogno universale di equità.

Quando la comunità internazionale agisce collettivamente per negare il riconoscimento a Stati o popoli che soddisfano i criteri legali, si configura una condotta omissiva associata alla violazione sistemica dei diritti umani. Tale comportamento può essere qualificato come:

  • Crimine contro l’umanità (art. 7 Statuto di Roma): nella misura in cui si tratta di atti sistematici contro un gruppo identificabile;

  • Associazione a delinquere internazionale: in quanto rete statale volta alla negazione di soggettività giuridica con fini di dominazione o esclusione.

Quindi, riconoscere uno Stato non è un favore politico ma l'adempimento di un obbligo giuridico. Rifiutare il riconoscimento della Palestina o di entità analoghe, pur in presenza dei criteri oggettivi, costituisce una violazione della legalità internazionale, un atto discriminatorio e un mancato rispetto dei diritti umani fondamentali. Gli Stati che adottano questa prassi agiscono in contrasto con l'ordine giuridico internazionale, favorendo un sistema arbitrario e iniquo. Se l’intera comunità internazionale collabora o mantiene il silenzio dinanzi a tale violazione sistemica, si configura una responsabilità collettiva per crimini contro l’umanità, connessi a un nuovo paradigma di sottomissione giuridica e neo-coloniale. L'uguaglianza dei popoli e il diritto all'autodeterminazione devono prevalere sulla politica del potere e del riconoscimento condizionato.

 

Mahat Cerasuolo

 

 




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